La seguente testimonianza, da parte di membri del Movimento Familiare Cristiano,
è stata pubblicata su “ATUAÇÃO”, bollettino del MFC, n. 80, marzo/aprile 1995.
Abbiamo incontrato Paolo per la prima volta nel lontano 1966, nel quartiere “Alto do Perù”, dove andavamo a fare dei corsi per fidanzati. A vedere Paolo, con la sua faccia da ragazzino, che aveva scambiato la sua Fano per un quartiere periferico di questo Brasile del Terzo Mondo, ci chiedevamo perplessi: “Che cosa viene a fare tra noi questo prete-ragazzino? Che cosa capirà della povertà di qui, delle nostre tradizioni popolari? Uno che viene dalla lontana Italia, cresciuto ed educato in quella cultura millenaria, che è abituata a dominare i popoli del mondo intero… che esperienza potrà trasmetterci?”
Questa è stata la nostra prima reazione con Paolo.
Il tempo passava e Paolo, a poco a poco, si rivelava. Erano gli anni della repressione. E allora, dove c’era un perseguitato, un fuggitivo, un ricercato, Paolo era presente. Accogliendo, confortando, nascondendo. A fianco dei piccoli e degli abbandonati sempre c’era Paolo. Dove crollava una baracca, dove mancava cibo e assistenza, insieme alle vittime dell’ingiustizia, a fianco degli “invasori” e dei disoccupati, sempre Paolo era presente. Contestatore, sfidava i potenti e l’arbitrio; non conformandosi all’ingiustizia sociale di questa società perversa, difendeva i perseguitati, gli abbandonati e i nullatenenti.
Aumentavano i nostri dubbi e le perplessità: oltre che ragazzino e straniero, era anche sovversivo!
1968: è stato in occasione di una tragedia che abbiamo potuto conoscere meglio Paolo. Una violenta tromba d’acqua si era abbattuta su Salvador, concentrando la sua furia soprattutto nella parrocchia dei preti italiani e lasciando un triste bilancio di frane, crolli, morti, feriti, senzatetto. E poi fame e rischio di epidemie. I primi ad accorrere e a soccorrere le vittime furono Renzo e Paolo. Noi, con altri amici, facemmo parte del gruppo di soccorso, e così abbiamo potuto stare insieme ed essere testimoni dell’azione di Paolo. Dinamico, infaticabile, presente dappertutto, sempre attento a chi aveva bisogno. Cercando di trasferire alcuni e di riunire famiglie disperse, mettendo ordine e organizzando i primi soccorsi, distribuendo alimenti e facendo da infermiere per curare i feriti: là c’era Paolo.
A poco a poco il nostro giudizio su Paolo cambiava. In seguito l’abbiamo incontrato con più frequenza, in riunioni diocesane, incontri, dibattiti, conferenze. Nel giugno 1981 Paolo lasciò Fazenda Grande e si trasferì come parroco a Camaçari, sede del Polo Petrolchimico, città in rapida espansione, con un afflusso enorme e disordinato di immigranti, in cerca di fortuna e di lavoro. Area di conflitti e di contraddizioni, dove convivono il moderno e l’antico, la tecnologia più avanzata e i mezzi più rudimentali, il dottore e l’analfabeta. Una volta di più Paolo mise la sua energia e la sia dedizione a disposizione dei “piccoli del Regno”, degli emarginati.
Un bel giorno, sia ringraziato il Signore, Paolo si decise di collaborare con il Movimento Familiare Cristiano. A partire da quel momento, i nostri contatti diventarono più assidui e costanti. Ha organizzato un gruppo del Movimento a Camaçari; è stato assistente regionale e poi nazionale. Ha partecipato e lavorato nell’organizzazione degli incontri nazionali e regionali e per ultimo dell’incontro latino-americano. Provocava, stimolava, discuteva calorosamente. Rispettava le nostre posizioni quando erano diverse dalle sue. Camminava con noi e tra noi, e così aumentava la reciproca conoscenza e una amicizia fraterna. Per Paolo ciò che contava era la costruzione del Regno, una società dove non ci fossero né ingiustizia né esclusi.
Rivedendo il cammino fatto, costatiamo quanto dobbiamo a Paolo di ciò che oggi siamo.