Senza data, ma scritta probabilmente all’inizio del 1993.
Indirizzata a due giovani amici che, nel mese di luglio 1992,
erano stati suoi ospiti a Camaçari.
Carissimi,
Non vi meravigliate della lettera e scusatemi se mi faccio vivo con un ragionevole ritardo.
Durante la vostra breve permanenza in Brasile abbiamo parlato, varie volte, di problemi che ci interessano. Purtroppo non abbiamo avuto la possibilità di. Continuare a parlarne. Incontrando altri amici la stessa problematica è venuta fuori e ho scritto qualcosa per parlarne un po’ anche se a distanza. Ho fatto vedere quello che avevo scritto a …. adesso, munito del computer, mi decido a mandarvi le mie riflessioni.
Volevo scrivervi prima per farvi gli auguri di Buon Natele e di Buon Anno, ma purtroppo ho avuto un sacco di cose da risolvere.
Tornare in Italia, anche per un periodo relativamente breve, è stata un’occasione per incontrare amici che non vedevo da tempo.
Anche se non è stato possibile stabilire un rapporto profondo, ho avuto l’occasione di percepire situazioni particolari emergenti. Il fatto di essere una presenza che non viene identificata come legata agli schemi della Chiesa locale, alla routine della Chiesa, ma quasi un rappresentante di una Chiesa impegnata nell’opzione dei poveri, perseguitata dalla Chiesa ufficiale e dai governi totalitari (teologia della liberazione, comunità ecclesiali di base) provoca una immediata simpatia e un’apertura.
Bisogna evitare di creare nuovi “miti”, quasi ad identificare nella Chiesa brasiliana quegli ideali che uno vuol sognare, una specie di Utopia, come se in Brasile non esistessero le difficoltà che esistono in Italia.
Resta di fatto una difficoltà da parte di tanta gente dopo aver vissuto una appartenenza alla Chiesa di tipo normale – infantile e dipendente – (con il catechismo per la 1° Comunione, la Messa domenicale e l’insegnamento di una morale soprattutto individuale, ridotta alla sfera sessuale, il rapporto clero-laici in condizioni di dipendenza) ci si accorge che sono sorti problemi nuovi che non riescono ad avere una risposta. Si vuole essere protagonisti nella società ed eventualmente nella Chiesa ma purtroppo ci si trova di fronte ad una grande frustrazione, perché le porte rimangono quasi sempre chiuse. ·
Un’altra difficoltà viene per quelli che, in seguito agli impegni politici, nati “grosso modo” nel ’68, si trovano a gestire un distacco dalla Chiesa e nello stesso tempo un desiderio di discutere la nuova situazione: la delusione dell’impegno politico, molte volte assunta per la fede e che ora sembra in crisi. Ci si sente soli a viver nello stesso momento quegli ideali di giustizia, di uguaglianza, di trasformazione sociale insieme ad altri ideali (della famiglia, del rapporto della coppia dell’educazione dei figli).
Ci si sente soli per affrontare i problemi della morte, della malattia, del dolore, della povertà nel mondo. C’è il pericolo di sentirsi soli e di ridursi ad una contestazione individuale, perché è difficile tornare indietro, dimenticare quello che è successo, non si vuol – e non è giusto – riconoscere che tutto quello che è successo è stato il frutto di un errore. Credo che tutto quello che è successo è stato un arricchimento non solo a livello individuale, ma anche per la società e per la Chiesa.
L’importante è mantenere lo spirito di ribellione, di contestazione, arricchendolo con le nuove realtà.
La comunità cristiana dovrebbe essere aperta ad accogliere questi contributi, non come apertura ai “peccatori” a quelli che hanno sbagliato, ma come apertura ai “segni dei tempi”, perché la Chiesa deve cercare sempre di aprirsi, per confrontarsi, per cambiare, per rispondere alle sfide che il Vangelo e la realtà di oggi ci fanno.
Il problema è di fede. Credere che nella Chiesa tutti siamo importanti e tutti fratelli, credere che è molto più importante quello che ci unisce di quello che ci separa e ci divide. Credere che bisogna vivere nella Chiesa una dimensione dialettica: è normale che la istituzione sia frenante, ma deve esistere sempre la spinta verso ciò che è nuovo, ciò che si muove contro l’istituzione.
In determinati momenti – e questo è avvenuto nel post concilio sono state forti e anche accettate le spinte al rinnovamento, al ringiovanimento, all’aggiornamento. In altri momenti si fanno sentire più forti le spinte reazionarie, integraliste – come avviene oggi.
Dobbiamo cercare di vedere in questa situazione di tensione – dialettica- qualcosa di positivo, di arricchente, anche se fa soffrire.
Dovremmo ricordare che il Cristo ha salvato il mondo morendo in croce, vedendo fallire il suo progetto di Regno di Dio e proprio da questo fallimento il Cristo ha costruito il regno garantito dalla risurrezione.
E’ chiaro che tutto questo richiede una fede, che significa credere malgrado tutto. Fede che è dono di Dio e che dobbiamo chiedere nella preghiera: “credo, Signore, ma aumenta la mia fede”.
Può sembrare, a prima vista, che voglia semplificare un po’ troppo le cose, ma credo che valga la pena cammina re su
Questa strada, anche se è faticosa e dura.
E qui si fa avanti un’altra difficoltà: non è facile vivere una ricerca di fede di questo tipo da soli.
Tutti sentiamo la necessità di un gruppo che partecipi della nostra ricerca, di un gruppo che ci appoggi, che ci sostenga, che ci aiuti anche con la critica. Tutti sentiamo che la struttura attuale della Chiesa non risponde alle nostre esigenza.
Dobbiamo però evitare la tentazione di chiuderci, di criticare e basta: dobbiamo impegnarci, sporcarci. In fondo ci sono altre persone che la pensano così e non tutte le comunità cristiane sono chiuse al nuovo, ai “segni dei tempi”. E’ bello vedere che un po’ dappertutto sono sorte piccole comunità che si incontrano si confrontano, cercano di rispondere alle sfide. Non dobbiamo prendere la strada che immediatamente può sembrare più comoda e gettare la spugna, smettere di lottare, di sperare, di credere. Credo
Credo che riprendere in mano il Vangelo, ricominciare a pregare – ricordarci che Dio è Padre, che ci è vicino e ci capisce – può essere l’inizio di un nuovo cammino. Dovremmo anche cercare altre persone che forse stanno attraversando le nostre stesse difficoltà e che come noi cercano un gruppo per rispondere insieme alle nuove sfide. L’aspettare soluzioni dal di fuori può essere il segno che continuiamo ad essere dipendenti e non protagonisti. In fondo quelli che tentano, che rischiano possono anche sbagliare, ma quelli che non rischiano sbagliano sempre. Queste sono le osservazioni che mi son venute dall’incontro con alcuni amici e amiche, se tu pensi che possano servire per l’inizio di un dialogo, ti prego di scrivermi, anche se è solo per dirmi che non ho capito niente. Da due mesi sono di nuovo in Brasile, a Camaçari. In questo tempo è stato bello il movimento dei giovani contro il presidente della Repubblica, che era stato eletto come il paladino della moralità e si è dimostrato corrotto. E’ stato un segno che ancora possiamo sperare in giorni migliori.
La situazione però continua molto tesa, l’inflazione si è stabilizzata sul 25-30% al mese … la disoccupazione aumenta ogni giorno…
In parrocchia c’è sempre molto lavoro, per seguire tutte le cose…
Per oggi smetto qui. Con affetto, e spero che un giorno o l’altro possiate tornare in Brasile, a bere un’altra caipiroska.
Un forte abbraccio
Paolo