Salvador, maggio 1969.
Eravamo riuniti in riva al mare per un incontro e stavamo discutendo su una inchiesta che alcuni di noi avevano fatto in una via di Fazenda Grande. Erano state visitate 78 famiglie per un totale di 465 persone (quasi sei persone per ogni famiglia!). Ebbene: tutti si stavano lamentando della mancanza di scuole nel nostro bairro. vero che abbiamo due scuole elementari con mille e cinquecento alunni ciascuna, alcune scuole private, ma con tutto ciò molti bambini rimangono senza scuola.
Un fatto abbastanza interessante: su 78 famiglie, 34 chiedevano che le scuole avessero le maestre. Pare un fatto curioso, ma molte scuole dello Stato iscrivono gli alunni, ma questi alunni non potranno frequentare le scuole perché mancano maestre. In una scuola del Peru, per esempio, sono stati iscritti più di mille nuovi alunni in base ad un programma del governo, la «operazione scuola», ma ancora non è arrivata nessuna maestra ed ogni giorno i bambini devono tornare a casa senza aver potuto assistere ad una lezione, mentre la radio e i giornali parlano che il governo sta facendo studiare tutti i bambini…
Molti adulti vorrebbero imparare a leggere e a scrivere, frequentare una scuola media per migliorare la propria cultura e la propria posizione.Di fronte a tutte queste esigenze, che noi conoscevamo già da tempo, finora noi avevamo risposto con un’accusa generica al governo, lamentandoci del suo scarso interesse dimostrato nel campo educativo… Ma stavolta uno di noi, tagliando corto con le critiche, pose la domanda: «Noi che possiamo fare?». La gente del nostro bairro aspetta tutto dall’alto, con una pazienza accumulata in tanti anni di schiavitù paternalistica, noi volevamo dimostrare che è inutile aspettare e che dovevamo rimboccarci le maniche per fare qualcosa. Perché se noi aspettiamo con le mani in mano la gente non capirà mai che ha i suoi diritti, ma continuerà nell’atteggiamento di attesa, sperando che dall’alto si ricordino dei poveri.
È sorto così l’impegno di quel gruppo di ragazzi e ragazze di fare qualcosa per risolvere questi gravi problemi educativi. Subito alcuni si sono offerti per insegnare, pur sapendo che la cosa non sarebbe stata facile e non avrebbero guadagnato neppure un cruzeiro.
Avevamo di fronte non poche difficoltà: prima di tutto la mancanza di esperienza degli « insegnanti », poi tutti hanno altri impegni (lavorano o studiano durante il giorno e avrebbero dedicato a questo lavoro la notte), la mancanza di equipaggiamento delle due sale ancora non intonacate che abbiamo a Fazenda Grande, mancanza di libri ed infine la difficoltà di fare un programma affinché l’insegnamento non fosse solo imparare nozioni di portoghese, matematica, ma fosse un vero apprendimento dove gli alunni insieme con gli insegnanti cercano di scoprire qualcosa e, soprattutto, tentano di diventare qualcuno. Mi ricordo che quando alla fine dell’incontro sulla spiaggia. abbiamo celebrato la Messa, tutti sentivamo che stavolta avevamo qualcosa da portare sulla patena, sentivamo che quel pane e quel vino era qualcosa di nostro, sentivamo che quel nostro impegno era veramente cristiano, perché cristiano è colui che ama gli altri. Con coraggio, forse si potrebbe dir meglio con un po’ di temerarietà, abbiamo cominciato a darci da fare… e così da più di due mesi dietro la nostra chiesa di terra, dedicata a Giovanni XXIII, sta funzionando ogni notte una scuola media frequentata da circa cinquanta adulti, con un corso super-intensivo di un anno, gli adulti sono preparati per dare un esame riconosciuto dal governo, che equivale al nostro di terza media; un corso di preparazione alle scuole medie frequentato da venticinque ragazzi che non hanno potuto finire le elementari.
Dopo un mese dall’inizio di questa iniziativa siamo stati colpiti dal fatto che una scuola elementare dello stato che è a pochi passi dalla nostra chiesa, rimaneva chiusa perché il governo non si decideva a nominare le maestre e intanto più di duecento bambini aspettavano da due o tre anni la buona volontà di quelli che stanno in alto. Nuova riunione sempre nella spiaggia e anche questa volta decisione unanime di non rimanere con le braccia incrociate. Certo non risolveremo il problema educativo, perché quei mille alunni delle altre scuole stanno ancora aspettando le maestre, ma la nostra iniziativa offrirà un aiuto concreto e farà riflettere. Altri ragazzi e ragazze che non si era‑
no decisi la prima volta non si son fatti pregare e così adesso oltre alla scuola media, al corso di preparazione, noi abbiamo assunto l’impegno di insegnare, sempre gratis, in una scuola elementare, fino a quando non verranno le maestre regolamentari. Sono 23 tra ragazzi e ragazze quelli che si sono impegnati in questo lavoro. Sono maestre, studenti del liceo e della media che, durante il giorno, studiano o lavorano e di notte insegnano. Un fatto che impressiona è la disponibilità di questi ragazzi. Non sono mai mancati all’impegno e a volte non fanno a tempo a cenare perché i trasporti qui sono orribili e il bairro è distante dal centro città, ma alle diciannove e trenta immancabilmente cominciano la lezione. Una ragazza « insegnante» quando dà lezione deve fare mezz’ora di strada a piedi per venire e mezz’ora per tornare a casa, ma mai è mancata. Piano piano stanno scoprendo che, facendo questo servizio, lavorando per gli altri, raggiungono una vera gioia. Stanno scoprendo una dimensione del Cristianesimo che non conoscevano. Una ragazza ci diceva durante una riunione: «Finora mi sembrava che la mia vita non avesse nessun valore, perché non facevo niente di utile, adesso mi sento soddisfatta: chi sta guadagnando da questa esperienza non sono solo gli alunni, prima di tutto siamo noi».
Naturalmente ci incontriamo molto spesso. Ogni sabato discutiamo sui programmi, sui risultati, sulla situazione del bairro (e nazionale) e prepariamo insieme la predica della domenica. L’amicizia tra di noi cresce sempre più, e mi pare che questo della profonda amicizia che ci lega sia l’elemento fondamentale di tutta questa esperienza. Un’amicizia che si sta estendendo anche fra alunni e insegnanti. Quando apparivano gli adulti per iscriversi noi insistevamo sul fatto che era un aiuto reciproco che si stava organizzando, che loro dovevano sentirsi corresponsabili dell’esperienza che stavano elaborando. E la collaborazione non è tardata ad apparire: hanno costituito subito una specie di sindacato studentesco che non si limita ad organizzare feste, ma si sta preoccupando della costruzione di un posto medico per il bairro ed ha intonacato la sala dove si dànno le lezioni. Così sí sta sviluppando sempre più un dialogo tra alunni e insegnanti.
Certamente non sarà facile sviluppare l’insegnamento come noi vorremmo.
Le difficoltà di un’opera veramente educativa sono enormi perché quelli che studiano e quelli che insegnano di notte sí incontrano solo nelle due ore di scuola. Sono di fronte ad un programma molto vasto, arrivano a scuola già stanchi dopo il lavoro di un giorno e gli alunni hanno passato anni senza prendere in mano un libro. Ma se ci fossimo proposti una perfezione educativa forse ancora staremmo a guardarci, e poi siamo convinti che la pratica riflettuta in gruppo potrà aiutarci a migliorare, cercando non solo di imparare dai libri, ma soprattutto da quel grande libro che è la vita di ogni giorno. La scuola ha per protettori Martin Luther King e d. Milani, due figure che ci indicano la strada che dobbiamo percorrere, che ci spingono a non rimanere soddisfatti dei risultati che abbiamo raggiunti. A volte vien da pensare ai contestatori, che per ribellarsi ad un ordine che è frutto di una società malata, affrontano lotte, incomprensioni. Questi giovani e ragazze che di giorno studiano o lavorano e di notte insegnano senza ricevere niente in ricompensa, sono anche loro dei contestatari. Certo non fanno tanto chiasso, di loro non si occuperà l’opinione pubblica, ma certamente stanno collocando il loro contributo per far qualcosa di positivo, per costruire un mondo in cui non ci sia troppa distanza tra i poveri e i ricchi, per far comprendere a tutti che siamo tutti eguali e che tutti sono soggetto di diritti prima che di doveri, per far comprendere che esiste ancora l’amore e la speranza che qualcosa migliori.
don Paolo Tonucci