Don Paolo in Brasile
Dopo tre anni come vice-parroco nella nostra parrocchia, ha tanto insistito per poter andare nell’America Latina. Il nostro vescovo – che ne apprezza, come tutti noi, la generosità veramente apostolica – gli ha concesso di partire per 5 anni di ministero nella diocesi di Salvador, nel nord-est brasiliano.
Don Paolo Tonucci, ordinato sacerdote in Duomo il 29 giugno 1962, sinora era stato sempre in mezzo a noi, dedito, senza riserve e senza tregua, a tutte le attività del suo ministero. Ora è già in Brasile, in un campo di lavoro immenso (una parrocchia di 80.000 anime), in un paese di tanta miseria e con tanta scarsità di sacerdoti. Ci ha scritto già
“da bordo della Federico C.: per me i tre anni al Duomo sono stati magnifici. E domenica 17 (novembre) alle 08:30 ho applicato la Messa per la parrocchia, perché divenga davvero la famiglia dei figli di Dio”.
Grazie a Don Paolo per le primizie del suo ministero in mezzo a noi, grazie per l’esempio di generosità e di distacco veramente evangelico nella sua partenza. Lo accompagna tutta la nostra simpatia e la nostra preghiera.
Scrive che ancora non ha iniziato il suo ministero in parrocchia e che in questo tempo si dedica ad imparare meglio la lingua portoghese.
“Nella settimana che siamo stati a Rio, e precisamente a Copacabana, abbiamo avuto modo di ammirare la città, ma anche di accorgerci della miseria spirituale dei brasiliani. Pensi che a Copacabana, con circa 400.000 persone, ci sono solo tre preti.
Ancora non ci siamo resi perfettamente conto delle condizioni della gente di qui, anche se abbiamo visitato dei quartieri ritenuti dei più poveri. Penso che per questo occorra più che altro vivere in mezzo a questi Cristi (…si vedono normalmente i bambini con la pancia gonfia per la verminosi).
Sono andato a anche a vedere gli “alagados”, gente che vive praticamente sopra dei pozzi neri, la cui acqua putrida si alza e si abbassa a seconda della marea[1].
A Rio avevo visitato le “favelas”[2], e mi ero molto impressionato, mi ero vergognato come cristiano, come prete; qui la situazione è molto peggiore, da tutti i punti di vista. Pensi che la gente mangia solo farina di “mandioca”[3], che è meno nutriente della nostra, e la domenica un po’ di fagioli.
Ci si domanda come facciano a vivere e ci si spiega perché siano così indolenti… Ci si spiega perché quando si interrogano le donne per sapere quanti figli hanno, dicono: “Cinque, perché quattro sono morti, grazie a Dio”. Ma la cosa che meraviglia di più è la rassegnazione di quella gente.
Pensi che “alagados”, che vivono su quel putridume, e su quel cattivo odore che il caldo aumenta, si dicono contenti”.
Abbiamo conosciuto Don Paolo impegnato in mezzo ai nostri ragazzi nel catechismo e al circolo in Cattedrale e sulle Dolomiti, con gli atleti della Juventina, con gli Aspiranti e con i Fanciulli di Azione Cattolica. Abbiamo ammirato la sua generosità e le sue capacità: la nostra riconoscenza deve continuare nel ricordo che si fa preghiera per la sua grande missione in quel continente che si chiama Brasile. Con la sua partenza la nostra parrocchia si è allargata…
[1] Gli “alagados – allagati” vivono su palafitte costruite sulle acque basse della baia di Salvador, dove sono scaricate le immondizie della città. Con il tempo, le immondizie diventano terra solida e le palafitte possono essere trasformate in baracche piantate sul terreno. Le orribili condizioni igieniche di questa soluzione sono facilmente comprensibili.
[2] “Favela” è il nome brasiliano per “baraccopoli”, quartiere formato da case costruite con materiali di riporto, senza trade vere e proprie, senza rete fognaria, senza elettricità e senza servizio di acqua corrente.
[3] La ‘mandioca’, che noi chiamiamo manioca, è un tubero che cresce in paese tropicali e viene usato per nutrimento, sia ridotto in farina, che viene aggiunta all’altro cibo, sia arrostito o bollito.