10 dicembre 1966
Una lettera
Ci sembra significativa: la pubblichiamo anche se in ritardo di qualche mese
Carissimo Don Stefano,
Le scrivo un po’ in ritardo rispondendo alle sue del 27 luglio e del 9 agosto.
Sono stati giorni un po’ intensi. Non so se Le ho scritto che adesso la parrocchia è un po’ aumentata. Il P. Enzo, che finora alla domenica andava a celebrare tre Messe a Santo Amaro di Ipitanga, (40.000 anime), sta un po’ male, ancora non si è adattato al clima e al ritmo di lavoro; noi lo dobbiamo sostituire e lui ci aiuta un po’ alla domenica, perciò una volta io, una volta P. Renzo, alla domenica, lasciamo le “nostre pecore”, per andare là, a 45 minuti di automobile, per assistere anche quella zona. In totale, in tre adesso abbiamo 150.000 anime, ma questo è abbastanza normale.
Poi, il 15 agosto, nella zona dove lavoro (Fazenda Grande[1]) abbiamo fatto festa grande, con processione, banda, Messa campale e poi una specie di lotteria, “pro costruzione chiesa” (totale cruzeiros 50.000 uguale 15.000 lire scarse). Ancora, come può arguire, la chiesa è nettamente in alto mare, ma è in alto mare anche il baraccone di terra dove volevo andare ad abitare. Pazienza! Lei mi dice che si augura che finiamo prima noi la nostra chiesa, che Lei la Sua casa parrocchiale. Io sono sicuro di poter vedere la casa pronta quando tornerò tra quattro anni, ma tra quattro anni la Chiesa forse ancora sarà un sogno. In compenso, vedo con piacere che la gente comincia, in maniera molto ma molto iniziale, a comprendere, a voler bene. Penso proprio che qui ci vuole tanto amore e soprattutto amore di Dio.
Vede, qui non possiamo assolutamente arrivare dappertutto e bisogna scegliere; ieri, per esempio, ho fatto in una casa di gesuiti un giorno di ritiro. Comprendo che potevo visitare alcune famiglie, ma, tanto, quello che deve lavorare è il Signore e qui la necessità della nostra santificazione si sente molto, molto di più che in Italia. Vede, in Italia la gente viene più o meno in chiesa, si confessa … il giorno dell’Assunta, con la festa, con la novena, ho confessato un uomo e una donna! E il giorno prima tre o quattro persone. E gli altri? Quando predico, invito, e lo dico in tutti i modi che si devono confessare… Ma contro l’abitudine non c’è niente da fare. L’unica speranza è di tirar su i bambini, ma con la mancanza di catechismo, con la mancanza di ambiente umano in casa, cosa si può pretendere?
Per questo vedo sempre più la mia missione in una testimonianza di amore; amare questa gente, cercando un contatto umano, e molta, moltissima fiducia nel Signore. Perché in fondo è “colpa” sua se siamo quaggiù.
A volte dicono che i missionari vanno in missione per entusiasmo, spirito di avventura… Beh, può anche essere, ma questo spirito di avventura passa molto presto e se non c’è qualcosa sotto, di solido viene a cascare tutto e di qui i fallimenti di sacerdoti, di cui purtroppo siamo testimoni e di cui si parla tanto.
Ma basta con le prediche, che sono per me uno sfogo.
Riguardo alle proteste alle autorità, hanno ottenuto un po’ l’effetto perché si sono decise ad aprire una finestra nelle case[2]. Adesso credo che dovrò di nuovo gridare: il terreno dove dovrebbero costruire le suore, con tanto di permesso del prefetto e processo incamminato, sarà diviso in tanti lotti per essere venduto. Dopo, posso stare zitto? Stasera vedrò di fare qualcosa, magari di dare solo del bugiardo al prefetto, ma questa soddisfazione me la voglio togliere, anche perché penso che sia un peccato essere pecore. E poi devo aiutare sì o no questa gente?
Bene per il giornale “In famiglia”: ogni volta che mi arriva aumenta un po’ la nostalgia, e nello stesso tempo mi accorgo dai nomi, dai visi, dai bambini della prima comunione, che sto dimenticando molte cose.
La salute continua sempre bene, malgrado il caldo infernale (anche se è inverno) e l’umidità sempre altissima e che certamente ha ripercussione sulla salute…
Per la somma promessa, capisco che dovrei insistere con Lei perché se la tenga. Ma i poveri non si vergognano di chiedere. Perciò desidererei che Lei ci comprasse delle casule (leggere e a buon mercato, da battaglia) di tutti i colori, perché sto celebrando Messa sempre in bianco, perché ho solo il bianco e la fodera rossa che mi serve per i martiri!
Mi dispiace se Le chiedo sempre e non posso far niente per Lei; Le assicuro però che prego e che farò pregare per Lei e le Sue intenzioni dai miei bambini.
Contentissimo della buona riuscita dei campeggi; faccia a spallottate di neve anche per me.
Salvador 17 agosto 1966
Don Paolo
PS – Sono stato in Prefettura[3]: il terreno è già stato venduto; ho fatto il diavolo a quattro, dicendo che il prefetto era bugiardo. Si sono arrabbiati, ma adesso cercano di aiutarmi; speriamo bene; il “continua” nella prossima lettera.
[1] La parrocchia di Nossa Senhora de Guadalupe, la cui chiesa centrale si trova su una elevazione chiamata “Alto do Perù” (perù è il tacchino), è divisa in vari quartieri, e Fazenda Grande è quello affidato a Don Paolo, che intendeva stabilire lì la sua residenza.
[2] Si riferisce alle casette costruite per i “desabrigados – senzatetto”, persone le cui case erano state distrutte dalle piogge. Le minuscole costruzioni non avevano neppure una finestra, che ora, grazie alle proteste, erano state aperte.
[3] Con in nome di Prefettura sin indica l’ufficio del Sindaco, che in Brasile si chiama Prefetto.