Questa omelia è stata pronunciata in occasione di una breve visita a Camaçari, per raccogliere alcuni oggetti appartenuti a don Paolo, a pochi mesi dalla sua morte.
OMELIA nella chiesa parrocchiale di Camaçari,
SAN THOMAS DE CANTUARIA
29 gennaio 1995, Dom 4a. tempo ordinario C
Geremia 1, 4-5.17-19
1ª Corinti 12, 31- 13, 13
Luca 4, 21-30
Cari fratelli,
Come ogni domenica, anche oggi la Chiesa ci propone delle letture della Sacra Scrittura per guidarci nella scoperta del cammino che un cristiano deve percorrere per vivere la vocazione di discepolo di Cristo. Ogni volta è un passo in avanti nella comprensione, e deve essere un passo in avanti anche nella vita concreta, che seguirà questo incontro di tutti noi con il Signore.
Domenica scorsa avevamo visto Gesù proclamare, nella sinagoga, che in lui si realizzava quello che aveva annunciato tanto tempo prima il profeta Isaia: era ormai venuto il tempo di far conoscere a tutti il messaggio della salvezza e della liberazione. L’annuncio era di grande speranza, perché rispondeva alle attese del popolo di allora, che da molto tempo desiderava essere liberato dalla oppressione.
Dobbiamo però ricordare come sono andate le cose: all’inizio “tutti gli rendevano testimonianza”; alla fine invece, proprio gli stessi avevano l’intenzione di gettarlo giù dal precipizio. Siamo agli inizi della missione di Gesù, ma già da ora si vede che gli entusiasmi scompaiono alla svelta, gli appoggi superficiali si esauriscono in poco tempo. Ci sono poi delle verità che anche noi non vogliamo ascoltare, se mettono in difficoltà il nostro modo di vivere e anche il nostro modo di vedere e di sentire la nostra relazione di fede con Dio. In questo caso, la decisione è quella di non ascoltare chi ci parla in nome di Dio, di non prendere in considerazione la verità, ma piuttosto eliminare il profeta che ci parla, in modo che possiamo continuare tranquilli nella nostra vita di sempre, sicuri con il modo di vivere e di pensare che ci siamo costruiti e che ci vogliamo illudere che sia la volontà di Dio per noi.
Gesù, nell’affrontare le difficoltà di non essere creduto e accettato, stava rispondendo alla sua vocazione: la predicazione della buona novella di salvezza non era per lui una idea originale che aveva voluto seguire, ma una precisa richiesta di Dio Padre consegnatagli fin dal principio. “Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, ti avevo consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni”. Fin dall’inizio, Dio che lo manda gli fa capire che incontrerà ostacoli e opposizione: “Ti muoveranno guerra”. Ma Dio sarà sempre con il suo inviato e quindi i nemici non potranno vincere contro di lui.
È questa una lezione che ci fa capire qual’è la nostra missione, quale la sua finalità, quali le difficoltà che possiamo incontrare. Per ciascuno di noi Dio dice: “Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo”. Siamo venuti al mondo come frutto di un pensiero di amore di Dio e come portatori di un suo progetto di salvezza. La nostra vita, fin dall’inizio, è destinata ad essere una risposta al progetto di amore di Dio. Il Signore vuole contare su di noi e ha deciso che la liberazione del mondo da ogni forma di schiavitù passerà attraverso l’impegno e la buona volontà di noi, sue creature. Dio ha voluto aver bisogno degli uomini, e sta quindi aspettando che ciascuno di noi risponda al suo impegno, compia la sua missione, vada incontro generosamente alle sfide continue che la storia, della quale siamo parte, ci impone.
C’è poi un dettaglio che, una volta di più, ci fa sentire tutta l’attenzione che Dio ha verso di noi. Una volta indicato il cammino, la liturgia ci viene incontro per rispondere alla difficoltà che possiamo sentire di fronte alle esigenze della missione che ci è affidata. Qual’è il modo in cui possiamo evitare gli ostacoli? In che modo possiamo affrontare la durezza di un compito che incontra opposizione anche violenta? San Paolo ci ha risposto, con quella pagina che tutti chiamano “l’inno della carità”, dato che si tratta non solo di parole profonde e significative, ma anche belle e piene di gioia per chi è capace di ascoltarle, più con il cuore che con le orecchie: “La carità è paziente, è benigna, non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia”… E così avanti, fino alla fine, quando esclama: “La fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità”.
Vediamo quindi una direzione chiara che Dio ci indica: impegno nella missione di annunciare con la vita il Vangelo, impegno di testimoniare in ogni momento la carità del Signore, perché il linguaggio dell’amore è l’unico che tutti sono disposti a capire e accettare.
Spero che nessuno di voi si sorprenderà se faccio un riferimento alla ragione della mia presenza qui. Sapete che sono il fratello di Don Paolo. Ero già venuto altre volte per condividere con lui qualche giorno di contatto con questa realtà tanto bella e impegnativa come è Camaçari. La ragione di questa ultima visita è un’altra, ma non toglie, nel fondo, la gioia di stare qui e di condividere qualche momento di fede con voi.
Credo che l’insegnamento sull’impegno profetico di ciascuno di noi, che oggi la Chiesa ci imparte, sia stato una dimensione di vita costante nella esistenza di Paolo, nel suo modo di vivere il suo sacerdozio e la sua presenza in mezzo di questa comunità, che egli ha servito per anni come sacerdote.
Chiaro nell’insegnamento, ha incontrato ostacoli e opposizioni. Forse più di una volta qualcuno ha potuto reagire contro di lui dicendo: “Ma chi crede di essere?”. Anche in mezzo a incomprensioni e difficoltà, come Gesù, egli ha proseguito il suo cammino. Ed è stato fedele alla sua vocazione, con la quale in Signore lo aveva chiamato “prima di formarlo nel grembo materno”.
I limiti sono inevitabili in una persona. Ma tutto è assorbito e superato nella carità, come atteggiamento costante di donazione ai fratelli. Una carità che non cerca il proprio interesse e non serba rancore, una carità che non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità.
A tutti voi vorrei dire un grazie sincero per tutto quello che avete fatto in questi anni per aiutare Paolo a svolgere la sua missione: lui è stato utile a voi e voi siete stati molto utili a lui, per definire e orientare il suo impegno missionario.
Allo stesso tempo, esprimo il desiderio che l’insegnamento che egli vi ha lasciato, con la sua parola e con il suo esempio, possa durare, al di là dell’affetto e del ricordo. È quello che Paolo stesso desidera per tutti voi, con un amore che non scompare con la morte: “La carità non avrà mai fine”.