N.d.t.: Il testo è senza data. Le riflessioni si rivolgono direttamente alla situazione del Brasile e, specificamente, della città di Camaçari, ma indubbiamente hanno elementi validi anche per le condizioni che si vivono in Italia
- Soddisfazione nel partecipare a questo incontro sugli anziani.
- Ricordo che il termine tecnico per designare i sacerdoti, nella Chiesa cattolica, è “presbitero”, parola greca che significa “anziano”, “più vecchio”. Mi considero vecchio non solo per l’età, ma anche per la professione che esercito. Viviamo in una società in cui c’è posto solo per quelli che lavorano e per questo producono, e naturalmente per i ricchi, i potenti. Chi non è in una di queste due categorie è considerato un peso, che, quando non è eliminato – come arrivò a proclamare il nazifascismo – è messo da parte, perché ostacola, imbarazza.
Per questo la nostra società esclude i malati, i vecchi, gli invalidi. Talvolta sembra persino che non voglia che la loro presenza sia percepita: gli ospedali fuori della città, i ricoveri fuori della città, per non imbarazzare, per evitare che la loro presenza ricordi che nella vita ci sono anche la malattia e la vecchiaia.
Negli appartamenti delle nostre città non c’è posto per i vecchi, come c’era nella case patriarcali dell’interno: e questo diventa un invito – o piuttosto un ordine – ad andarsene, a non restare con i figli e i nipoti. I vecchi, dopo una vita di lavoro, sono condannati alla miseria di una pensione, nella maggioranza delle volte insufficiente, e all’emarginazione fisica e morale.
- Persino la Bibbia, quando parla della vecchiaia, dipinge questa fase della vita con colori scuri: la vista si indebolisce, il calore del corpo diminuisce, si soffre di reumatismi, l’allegria vitale si sta spegnendo, non si hanno più energie per misure vigorose.
- Siamo riuniti per parlare dei vecchi: che cosa possiamo fare, che cosa può fare la società per loro? Credo che sia il momento di tentare di cambiare la domanda: il problema non è tanto di chiederci che cosa la società può fare per gli anziani, ma al contrario: che cosa noi anziani possiamo e dobbiamo fare per la società? Credo che noi anziani abbiamo una missione da compiere nella società, la società ha bisogno di noi, della nostra esperienza, della nostra saggezza.
- Qui mi piace partire da un’altra visione che la Bibbia ha a proposito della vecchiaia. Essa considera la vecchiaia come una corona gloriosa e ammira la sua esperienza, saggezza e comprensione e le sue vaste conoscenze.
Una visione che esisteva anche nei nostri indiani prima della conquista o distruzione, prima di ricevere la civilizzazione cristiana e occidentale, ed esiste ancora tra gli indiani di oggi, che non sono stati contaminati da questa stessa civilizzazione. Visione che esisteva ed esiste oggi anche nella civilizzazione africana e, tra di noi, nei culti africani. È la visione che considera il vecchio come il saggio, il consigliere, quello che ha una missione specifica nella società – la missione di conservare la memoria, la sapienza degli antichi. In queste società antiche i vecchi sono rispettati, onorati, venerati. Essi non sono esclusi dalla società, essi sono utilizzati, valorizzati. La loro presenza è importante per tutti, per questo non possono risiedere lontano dalla città, fuori dal contesto urbano, perché tutti hanno bisogno di loro. Che accadrebbe ad una società senza la saggezza dei vecchi?
I mexica, il popolo guerriero dell’antico Messico, davano prestigio al vecchio, identificato con il saggio: “I vecchio, il saggio è come un fascio di luce, cammino e guida per gli altri. Il buon vecchio dà buoni consigli e buona dottrina, illumina gli altri perché è affidabile in tutto. Favorisce aiuto a tutti con la sua saggezza”.
Vorrei allora proporre alcune cose molto concrete:
- Non credo che debba essere abolita l’esperienza del “convivere”, ma lì dovremmo avere un punto di appoggio e di irradiazione per un’azione più partecipativa degli anziani, un punto di partenza per un’azione nella società.
- Perché non approfittare della saggezza degli anziani e delle anziane nelle scuole, affinché possano dare la testimonianza dei loro tempi, della loro storia, delle conoscenze che hanno acquistato durante la loro vita?
Continuo a pensare alle famose ricerche scolastiche, che tante volte si risolvono copiando nei libri cose che non servono a niente. Perché non approfittare dei nostri anziani per investigare la vita a Camaçari, nelle città dell’interno, nella campagna? Avremmo qui un campo molto importante, perché a Camaçari troviamo persone che sono arrivate da ogni angolo del Brasile. - Perché gli anziani non possono collaborare per prendersi cura dei parchi e dei giardini della città, facendo in modo che i bambini possano giocare tranquillamente? Perché non organizzare sessioni di racconti nelle piazze? Perché non restituire le piazze ai bambini e ai vecchi?
- Perché non approfittare della saggezza degli anziani nella medicina naturale, la sapienza delle piante medicinali?
- Perché non approfittare degli anziani come consiglieri, a fianco dei nostri psicologi?
Credo anche che dobbiamo fare in modo che gli anziani tornino in città, rendano la città più umana, più accogliente, più famigliare.
Esiste sempre il problema degli anziani che sono malati, di quelli che non possano fare nulla, di quelli che sembrano inutili, che possano essere scartati. Ma anche loro sono importanti nella nostra città, in una visione di fede. Con le loro preghiere, con le loro sofferenze essi diventano parafulmini per le nostre città, richiamano la nostra attenzione all’importanza della vita umana, il valore di una vita che si spegne, l’affetto che può far sorgere.
E sarebbe interessante che i giovani, i bambini visitassero gli anziani, anche nei loro letti di dolore, per percepire tutti gli aspetti della vita umana, per percepire cosa significano le parole di Paolo: “Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa.” (Col. 1,24)