Viviamo, respiriamo sottoposti al bombardamento dei mass media: i giornali e la televisione hanno una grande influenza sulla nostra vita, sulla nostra carità, sull’apertura e l’interesse verso gli altri. Cigni tanto ci vengono somministrate immagini nuove che si sovrappongono alle precedenti e ce le fanno dimenticare. Sembra, infatti, che anche a livello di solidarietà ci siano delle mode. Oggi si parla dei bambini della Bosnia, ma ci si dimentica dei tanti bambini che continuano ad essere massacrati dalla fame e dall’ingiustizia in Burundi, nel Sudan, nell’America Latina. Alcuni mesi fa. fece scalpore la notizia dell’uccisione di 9 adolescenti a Rio de Janeiro da parte di poliziotti e “giustizieri”, dimenticandoci che fatti come questo avvengono, anche se in scala minore, tutti i giorni (a Rio de Janeiro ogni giorno sono uccisi 2-3 bambini o adolescenti e la stessa cosa succede a Sào Paulo…).
Certamente nessuno di noi può. da solo, risolvere questi gravissimi problemi. però è importante ricordare che la responsabilità di tali situazioni non è da ricercarsi solo a livello locale: c’è una responsabilità planetaria, perché il benessere del primo mondo è costruito sullo sfruttamento, sulla miseria, sulla fame del Terzo Mondo. Senza dimenticare che il Terzo Mondo è presente anche dalle nostre parti: quanti bambini. nel mondo del benessere, sono e-marginati. costretti a lavorare per poter sopravvivere, esclusi dalla scuola, da una famiglia.
Se da soli non possiamo risolvere i gravi problemi che affliggono l’umanità, non è corretto rimanere con le mani in mano, magari solo criticando il governo, responsabile anche lui di tante malefatte. In fondo è molto comodo mettere a lacere la nostra coscienza criticando gli altri, o dando un’offerta generosa nella Giornata Missionaria o aiutando un missionario conosciuto, per avere una certa garanzia che i nostri soldi siano usati veramente per sfamare i bambini “denutriti e col pancino gonfio”.
In questi ultimi anni sono sorte molte iniziative indirizzate ai fratelli che soffrono nel Terzo Mondo, non in modo occasionale, ma dando una continuità e cercando un coinvolgimento delle parti.
L’iniziativa delle “adozioni a distanza” vuole essere un segno di solidarietà e di coinvolgimento. Offrendo un aiuto sul posto, si vuol rispettare la cultura dei bambini, delle loro famiglie, perché quelli che ricevono non rimangano sempre nella passività, ma possano diventare soggetti della propria storia. Vuol coinvolgere le famiglie che adottano, con un interessamento continuativo verso il bambino e la sua famiglia.
Il nostro lavoro sulle adozioni a distanza è basato sull’esperienza fatta a Camauri, cittadina del Nord-Est brasiliano. a 45 km da Salvador (Bahia). Fino a pochi anni fa Camauri era una cittadina tranquilla, di 6 mila abitanti, dove i ricchi di Salvador venivano a passare il fine settimana, attratti dalla pace che vi si poteva godere.
Negli ultimi anni la situazione è cambiata totalmente: è stato creato il complesso petrolchimico del Nord-Est e molti sono venuti, dalle varie località del paese, alla ricerca di un lavoro, di una vita più umana. Attualmente la città ha più o meno 100 mila abitanti, moltissimi i disoccupati e i sottoccupati. Le fabbriche, altamente inquinanti, richiedono una mano d’opera specializzata, non preparata dalle nostre scuole; la criminalità aumenta ogni giorno; la pace non c’è più. Dati del governo affermano che più del 35% della popolazione vive nella miseria. Naturalmente chi ne risente di più sono i poveri e i bambini… E’ aumentata la mortalità infantile, molti bambini non possono frequentare le scuole, la prostituzione giovanile cresce, mentre miliardi sono spesi per rendere più moderno e competitivo il complesso petrolchimico.
Un’unica parrocchia comprende la città e il territorio del municipio (con più di 10 paesini di campagna e 40 km di spiagge, dove sono state trasferite le case per il fine settimana dei ricchi di Salvador).Da più di dieci anni, noi, un prete e una volontaria laica, cerchiamo di rispondere alla sfida della situazione con una evangelizzazione che vuol essere anche promozione umana. Sono sorte così 15 comunità ecclesiali di base in città e una decina nella campagna.
I laici sono i veri responsabili dell’evangelizzazionc nelle comunità, annunciano la Parola di Dio nelle celebrazioni, animano il catechismo dei bambini, giovani e adulti, cercano di essere una presenza di carità nel quartiere. Noi. il prete e la volontaria laica, siamo gli animatori, gli incentivatori di questo lavoro comunitario, cercando di aiutare i laici nel loro esercizio sacerdotale, senza mai sostituirli.
Motivati dalla Parola di Dio, i membri della comunità visitano le famiglie del quartiere non solo per portare il messaggio evangelico, ma anche per conoscere e risolvere particolari problemi di miseria. Nelle riunioni di comunità, i vari problemi sono presentati, discussi alla ricerca di una soluzione che non è sempre facile, perché chi vuol aiutare, molte volte si trova in situazione ugualmente difficile. E’ bello vedere che al momento dell’offertorio, nelle celebrazioni della Parola o nella Messa, i poveri portano vestiti e alimenti per aiutare quei fratelli che soffrono di più.
Il discorso delle adozioni a distanza è stato inserito in questo contesto. C’è da ricordare che anche se l’iniziativa dell’aiuto caritativo partiva sempre dalle comunità e veniva gestito dalle comunità, la casa parrocchiale era interpellata e molte volte ci era richiesto di contribuire con un ulteriore sussidio per completare il gesto delle persone. I membri delle comunità erano al corrente, infatti, che noi ricevevamo offerte da amici italiani per questa finalità.
Abbiamo presentato allora, nelle comunità, la proposta delle adozioni a distanza. C’è stato un dibattito chiarificatore, anche perché la preoccupazione comune era di evitare un facile assistenzialismo, con conseguente passività di quelli che sarebbero stati aiutati, il disimpegno dei membri delle comunità e nello stesso tempo uno scaricarsi della coscienza da parte degli amici adottanti.
Abbiamo così deciso insieme che i bambini da adottare sarebbero stati proposti dagli animatori di comunità, dopo un contatto con le famiglie. Ogni animatore, impegnato nell’iniziativa, sarebbe divenuto il corresponsabile dell’adozione, impegnandosi non solo ad aiutare e seguire il bambino, ma un po’ tutta la famiglia. L’aiuto esterno non doveva ridursi al solo passaggio dei soldi, ma essere segno di infazia che sarebbe stata completata dalla collaborazione di quelli di Camagari.
L’aiuto, pur essendo un rapporto stabile, non dovrebbe essere permanente. eterno, perché lutti vogliamo che il bambino, con la sua famiglia, possa diventare autonomo per costruire la propria storia ed essere lui pure un soggetto di promozione umana. L’aiuto deve essere la spinta per un processo educativo.
In questo modo vediamo che le persone impegnate a Camagari nell’iniziativa assumono una concreta solidarietà con i problemi del bambino e della sua famiglia, una maggiore apertura ai problemi sociali più generali.
Anche le famiglie degli animatori e le comunità partecipano attivamente all’iniziativa, si sentono corresponsabili, visitando le famiglie, evitando così che l’aiuto offerto abitui alla passività e sia invece uno stimolo per una vera promozione umana.
Così, a Camagari, l’iniziative delle adozioni a distanza ha aiutato e aiuta non solo i bambini e le famiglie “beneficate”, ma tutte quelle persone che si sono impegnate a seguire l’iniziativa senza personalizzare l’aiuto, favorendo in uno spirito comunitario, l’amore fraterno. Posso ricordare non solo la gioia delle due sorelline di 9 e 10 anni che hanno potuto avere finalmente un vestitino nuovo e un paio di sandali. del bambino che ha potuto andare a scuola, del neonato che ha potuto a-vere il latte, della famiglia che ha potuto comprare un materasso, ma anche la scoperta degli altri, degli ultimi, da parte di alcune famiglie impegnate, che, molte volte, vivevano accanto alla miseria, ma non l’avevano scoperta nel fratello.
Ci sono stati gesti di generosità che commuovono: bambini, anche loro poveri, che hanno rinunciato alla merenda o a un giocattolo per aiutare la famiglia più povera, famiglie della fave-la che si preoccupano di non far mancare il pane alla famiglia vicina.
Gesto di solidarietà
L’adozione a distanza però non deve cambiare qualcosa solo in Brasile, ma anche in Italia. Nelle famiglie aiutate e in quelle che seguono, a Camagari, l’iniziativa, l’impegno degli adottanti italiani è stato e viene visto non come un gesto a-nonimo di gente che non sa come spendere i quattrini, ma come un segno di amicizia, di condivisione e anche di richiesta di perdono, perché il benessere del primo mondo dipende dalla miseria del Terzo Mondo; viene visto come un gesto di persone che vogliono vivere il loro cristianesimo e contribuire a risolvere uno dei tanti problemi che ci affliggono.
Certamente nessuno può pensare che in questa maniera sta salvando il mondo, perché a Camagari, nel Terzo Mondo, ma anche in Italia, moltissimi bambini sono e saranno sempre abbandonati e continueranno a morire di fame. L’iniziativa delle adozioni a distanza, legata al movimento per la vita, vuol essere la manifestazione di un impegno di tante persone che desiderano alimentare la speranza di un mondo più buono.
Da parte italiana, l’aiuto materiale che viene spedito, non deve essere visto come una tassa in più da pagare per tacitare la propria coscienza, ma come il risultato di un gesto d’amore, rinnovato ogni giorno – che comporta qualche rinuncia – verso un bambino concreto, che è conosciuto come è conosciuta la sua famiglia, e fa parte della famiglia adottante, di cui si ha la foto, e viene seguito nella sua storia.
Guardando il bambino o la bambina della foto, la famiglia adottante si sentirà impegnata a pensare non solo al Brasile, alla problematica locale, ma anche a tutti i bambini che soffrono, ai poveri di tutto il mondo. Allora l’aiuto ad un bambino diventerà il segno di un amore universale, come ci ricorda lo stesso Gesù: “Ogni volta che avrete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli, l’avrete fatto a me’’ (Mt, 25,40).
Seguendo il bambino, si farà sempre più forte il desiderio di conoscerlo meglio, di conoscere l’ambiente in cui vive, un ambiente così diverso dal nostro. con tanta povertà, con tanti dislivelli sociali, ma anche con tanta ricchezza culturale, con una maniera diversa e forse più viva di essere cristiani.
Oggi molte riviste missionarie ci aiutano ad aprire una finestra sul mondo, perché le nostre famiglie possano essere sempre più aperte alla mondialità. L’abbonamento può essere un aiuto perché l’iniziativa non rimanga chiusa alla nostra famiglia e al bambino, ma divenga sempre più coinvolgente. Con le adozioni a distanza non possiamo risolvere i gravi problemi che esistono, però possiamo realizzare un vero scambio, perché così sono aiutati dei bambini, delle famiglie del Terzo Mondo, ma sono aiutati anche i bambini e le famiglie del Primo Mondo, stimolati ad interessarsi ai problemi di qualcuno che è della propria famiglia e si trova in condizioni disagiate, a rinunciare a qualcosa perché si realizzi finalmente il sogno di fratellanza espresso in un canto brasiliano: “quando il bianco, il negro e il mulatto ntangeranno insieme nello stesso piatto”.
Molte volte di fronte ai grandi problemi mondiali, noi ci sentiamo deboli, scoraggiati e cediamo alla tentazione di rinchiuderci in casa, interessati e preoccupati dei nostri problemi. E’ importante fare qualcosa, anche se minima, per far brillare una luce, anche piccola, di speranza, in mezzo a tanta oscurità.
Paolo Maria Tonucci