10 dicembre 1967
Ci scrive DON PAOLO
Miei cari amici del Duomo,
don Stefano mi ha scritto che una mia lettera per il giornalino parrocchiale vi avrebbe fatto piacere ed eccomi pronto. Mentre vi scrivo sono in chiesa, dopo una giornata di lavoro, abbastanza stanco, sudato, ma felicissimo! Qui in chiesa nella mia povera chiesa di “taipa” (di legno e mota), vi è più facile sentirvi vicini, comunicarvi le mie impressioni.
Sono due anni che ho lasciato Fano, e mi pare ieri.
In questo tempo non vi ho dimenticato, non solo perché dalle lettere di don Stefano, dei miei, degli amici, ho potuto sempre seguire le vicende vostre e della parrocchia, ma perché sento sempre più che non sono venuto qui in Brasile per mia iniziativa, a mio nome, ma come inviato vostro, mandato dalla Chiesa che è a Fano, alla Chiesa che è in Salvador!
Quando mi sento in difficoltà, quando tutto va per il verso errato, quando mi pare che il mio lavoro sia senza efficacia penso a voi. Penso che forse in quel momento qualcuno, pregando offre le sue sofferenze per me, e questo mi dà tanta forza per superare tutto!
Vi ringrazio tanto della forza che mi date! Se c’è un po’ di merito nel fatto che sono qui, se in questo tempo ho fatto un po’ di bene, questo lo debbo a voi… A voi che mi fate sentire che non sono isolato.
Cosa posso fare per ripagare questa vostra bontà? Posso pregare per voi, offrire le mie sofferenze, il mio lavoro per voi …ma adesso voi volete sapere, e ne avete il diritto, quello che sto facendo.
Qui nel nord est brasiliano
Sono in una parrocchia di Salvador, nello stato di Bahia (Brasile). In quella parte del Brasile, il Nord-Est, famosa per la fame, per la miseria, per la disoccupazione, per gli stridenti contrasti sociali.
Qui vivono vicinissime, ma lontanissime, due comunità: i pochi ricchi (di una ricchezza esagerata) e i poveri (che vivono in una condizione sub-umana). Due comunità che si incontrano ogni giorno nelle strade, ma che non si conoscono e non comunicano.
Qui ci sono delle case con piscine i cui proprietari si concedono ogni anno vacanze in Europa, e baracche di mota che possono “sciogliersi” (mi pare la parola più esatta che esista) con un poco di pioggia, case di una sola stanza dove vivono nella più completa sporcizia e promiscuità famiglie di 12-13 persone!
La mia parrocchia (o meglio la nostra parrocchia, perché lavoro con un prete di Firenze tutto pepe, Don Renzo…), rimane nella periferia della città, nella parte più povera ed è di formazione recente. Nel 1960 contava 60.000 abitanti, adesso, tenendo conto del grande movimento migratorio, dovrebbe raggiungere i 100.000! Ma non sapremo mai la cifra esatta. In Brasile non esiste un ufficio anagrafe e un censimento è un’impresa impossibile.
Quasi tutti provengono dall’interno, sono stati attratti qui dal miraggio di una soluzione ai terribili problemi della campagna.
Vivono nella quasi totalità in capanne di legno e di fango, con famiglie numerosissime e la maggioranza degli uomini non ricevono salario minimo (quasi 20.000 lire al mese).
Dal punto di vista morale, il 70-80 percento delle unioni non sono regolarizzate né dalla Chiesa né dallo Stato e come conseguenza i figli legittimi raggiungono cifre spaventose.
Religiosamente la maggioranza è cattolica, ma di un cattolicesimo fatto di tradizione, di superstizione (manca completamente una benché minima istruzione religiosa…): molti però sono adepti di culti africani, dello spiritismo e moltissimi sono protestanti (solo nella parrocchia ci sono 20 chiese protestanti e due sole chiese cattoliche…).
Siamo due preti per 100.000
Di fronte a questa situazione cosa possiamo fare noi due preti!
È vero, non siamo soli, un gruppo di persone di buona volontà ci sta aiutando, soffrono con noi, condividono la nostra ansia per portare il Signore a tanti fratelli.
Quando mi incontro con questi amici, penso all’aiuto che voi mi date e che state dando alla Chiesa che a Fano… Ma se questi collaboratori hanno molta buona volontà, purtroppo non hanno ricevuto nessuna formazione religiosa, devono perciò essere sempre accompagnati e sostenuti…
Abbiamo già delle ragazze che insegnano il catechismo ai bambini, giovani e signorine che guidano una specie di movimento aspiranti, giovani che si riuniscono in clubs, uomini e donne dell’Apostolato del Sacro Cuore di Gesù, della Legione di Maria, del Movimento Familiare Cristiano…approfittiamo di ogni occasione (mese di maggio, di ottobre) per fare “Peregrinatio Mariae” delle case in modo da scuotere tanta gente, da sensibilizzarla…
Quello che ci preoccupa di più è di mostrare a questi nostri fratelli che li amiamo, che li comprendiamo, che vogliamo condividere le loro sofferenze, la loro situazione.
Per questo, per spostarci nella parrocchia non abbiamo la macchina ma la bicicletta! È vero, sudo molto, così mi impolvero tutto, però rimango vicino alla mia gente.
Quando vado per le strade in bicicletta, strade infangate e polverose, all’ennesima potenza, secondo la stagione, mi incontro con tanta gente. Uomini, donne, bambini, che mi salutano, che sarebbero disposti e contenti di ascoltare la parola di Dio… ma come fare? c’è tanta gente che aspetta, ci sono le chiese che devono essere costruite, c’è quel gruppo di poveri che bisogna accompagnare… c’è… ma sono tante le cose che devo fare…
È triste dover scegliere! Pensare: questo no, questo deve aspettare di essere evangelizzato.
Ci vorrebbero altri preti! Quando penso che tutta la diocesi di Fano ha un po’ meno abitanti della nostra parrocchia e… un centinaio di preti mentre noi siamo solo due, mi viene da pensare se tutto questo sia giusto, se non ci dovrebbe essere un po’ più di giustizia distributiva.
I fratelli brasiliani non solo soffrono per le difficoltà economiche, che sono senz’altro le più appariscenti, ma anche e soprattutto per la mancanza degli apostoli…
E poi non dovete pensare che lavori solo in parrocchia: sono cappellano di un collegio con 300 ragazze e naturalmente devo dar loro una certa assistenza religiosa, poi un giorno alla settimana rimango in Seminario per fare da direttore spirituale ad un gruppo di seminaristi… se poi mettete in conto il lavoro che devo fare per andare negli uffici del governo, per ottenere qualche terreno per costruire delle chiese, potete comprendere ancor meglio la mia angustia. Dovrei entrare nelle case, mostrare ai poveri la preferenza che Gesù ha per loro, ma il tempo dove lo trovo?
Vi ho parlato di chiese. Bene! Pensate che a 80-100.000 abitanti, con due chiesine della capienza di 200 persone l’una. E poi ditemi che sono esagerato se anche questo mi preoccupa.
I calli nelle mani
Cosa sto facendo? A Fazenda Grande abbiamo costruito con le nostre mani (mi sono venuti anche i calli) quella chiesa magnifica di mota che avete già visto, ma già è insufficiente! Dovreste vedere quanta gente ci viene e come stanno attenti e come partecipano alla Messa. Forse è segno che mi sto invecchiando, ma quando celebro la messa, mi commuovo sempre, perché in questa chiesa, “chiesa Giovanni XXIII”, mi pare che a Gesù piaccia in modo particolare farsi presente, Lui che ha mostrato molto bene i suoi gusti, le sue preferenze, nascendo in una stalla.
Adesso, dietro la chiesa-baracca, stiamo costruendo una casa per la sagrestia, una sala per la scuola, un posto medico, una stanzetta per me perché possa stare in mezzo ai miei amici. Stanno lavorando gli uomini, tutte le domeniche, anche sotto la pioggia.
Poi stiamo terminando una baracca che sarà il circolo per i giovani, dove potranno riunirsi, divertirsi, dove potremmo, di notte, aprire una scuola per adulti.
C’era in progetto, sempre a Fazenda Grande, la costruzione di un centro sociale con cappella affidata alle suore. Ebbene, il sindaco, dopo tante promesse, dopo aver firmato l’atto di affitto per quattro anni, se l’è ripreso. E noi siamo rimasti a terra. Avremmo tanto bisogno di suore che ci aiutino, ma pazienza!
Ma ancora, quanti altri progetti! Non crediate che mi sia venuta la tentazione del mattone: so che sono qui per portare il messaggio dell’amore di Cristo; ma per elevare i miei amici, per farli diventare più uomini, abbiamo bisogno di costruire baracche dove insegnare alle ragazze a cucire, a cucinare, dove insegnare agli adulti a leggere e a scrivere, per unire i giovani che hanno desiderio di apprendere un mestiere, dove insegnare ai bambini il catechismo, dove tutti possano incontrarsi come amici per un po’ di svago…
Abbiamo bisogno di chiese
Abbiamo bisogno di chiese, dove ci si possa riunire per incontrarsi con Dio e per amarlo, e da dove si possa uscire per incontrarsi con i fratelli, per amare in loro il Signore.
Ne abbiamo bisogno! e i soldi dove li trovi? Mi chiederete voi…
Non li posso chiedere ai miei amici della parrocchia, perché si e no hanno quello che basta loro per non morire di fame. Spero che il Signore ispiri qualcuno a rinunciare al superfluo per aiutarci…. È troppo quello che chiedo? Ne abbiamo bisogno! Lo scrivo e me lo ripeto a voce alta. E intanto sogno, sogno a quando Fazenda Grande potrà avere la sua chiesa, la sua casa parrocchiale, i suoi centri sociali, quando il prete non sarà costretto a fare l’ingegnere, quando potrà (ci riuscirò a farlo?) far solo il prete…. Sarà un sogno irrealizzabile per me…
Miei cari amici, doveva essere solo una lettera, ma per essere una lettera mi sto accorgendo che sta diventando un po’ troppo lunga. Mi sto accorgendo anche che è uno sfogo per me, ma voi siete amici, e mi comprenderete. Abbiate pazienza! So che i giovani e le ragazze di Fano nei giorni scorsi si sono trasformati in “cenciaioli”[1] per aiutare i fratelli del Brasile. Solo Dio potrà ricompensarvi. Io vi ringrazio, vi ringrazio anche a nome dei miei amici.
Scrivendovi, avrei potuto insistere sulla povertà in cui viviamo (i miei amici ed io), ma mi è parso non giusto, non cristiano. Noi stiamo lottando per avere la nostra dignità, per avere una vita più umana.
Abbiamo bisogno prima di tutto della vostra amicizia, poi del vostro aiuto, un aiuto fraterno, di persone che si sentono amici sul serio… e non della vostra compassione.
Mentre vi scrivo, ho davanti l’immagine dei bambini che muoiono di fame, per mancanza di cure mediche, simbolo del Brasile sottosviluppato. Ma ho davanti a me l’immagine dei miei uomini che sacrificano il lavoro della domenica per costruire per sé, per i propri figli, per la propria comunità, la scuola, il posto medico, il centro sociale, la chiesa.
La visione di questo Brasile che lotta per il proprio miglioramento merita il nostro appoggio, il nostro aiuto fraterno.
Grazie amici “cenciaioli”!
Cari amici, quando ci presenteremo davanti a Cristo giudice, egli ci apparirà come un bambino con la pancia gonfia per la fame, come l’uomo che guadagna 10.000 lire al mese e deve mantenere sei figli, come quella donna che è malata, vedova e sta aspettando il quarto figlio… come questi uomini che vogliono lottare contro la schiavitù del sottosviluppo; potremo stare tranquilli solo se avremo aiutato Cristo a risolvere questi gravi problemi, se avremo offerto la nostra mano per aiutare Cristo.
È mezzanotte. Domattina dovrò alzarmi alle 05:30 e ricominciare a sudare, scendendo e salendo tutti quei sentieri di cui è composta la nostra parrocchia. Anche domani mi incontrerò con Cristo incarnato nel povero, ma penso che potrò trasmettergli un messaggio di speranza nella fraternità di altri uomini…
Salvador 19 ottobre 1967
[1] I giovani della parrocchia del Duomo, nei mesi di settembre e ottobre del 1967, avevano organizzato una grande raccolta di stracci e ferrivecchi, che sono stati poi venduti e il ricavato, di 1.800.000 lire, è stato inviato a Don Paolo, per le sue opere.