Nel 1993, per l’inaugurazione del Tribunale del Lavoro, nella città di Camaçari, Paolo fu invitato a benedire il nuovo edificio. Come sempre, accettò di farlo a condizione che gli fosse permesso di rivolgere ai presenti alcune parole.
C’è un consenso, abbastanza generalizzato, chi siamo in un’epoca di crisi etica. Senza dubbio sta accadendo un vero cambiamento nelle abitudini, nei costumi, nelle istituzioni. La maggioranza pensa che questa crisi sia un fatto negativo, ma ci sono molte cose positive che stanno ora accadendo, e tutto in nome di una nuova etica.
La maggioranza della popolazione che, fino ad ora, accettava tranquillamente, o per lo meno non manifestava il suo rifiuto della corruzione, dopo dell’esperienza dell’“impeachment” a Collor (Fernando Collor de Melo, eletto Presidente del Brasile nel 1990 e sospeso dalle sue funzioni nel 1992, con l’accusa di corruzione. N. d. t) ha acquistato più fiducia nel suo potere.
La disoccupazione, con le sue conseguenze di miseria, fame, mancanza di assistenza medica e di educazione, ha aperto gli occhi di tanti che ancora si ostinavano a credere nel “miracolo brasiliano”. La mobilitazione dei differenti settori della società, per i comitati di cittadinanza contro la fame, indica una preoccupazione comunitaria sempre maggiore verso i problemi fondamentali.
Di fronte a questo quadro, qual è il compito dei cristiani? La lettera a Diogneto – scritta all’inizio del secolo 3° – affermava: “Quello che è l’anima nel corpo, sono i cristiani nel mondo”.
I cristiani devono prendere coscienza del fatto che sono nel mondo per animarlo, per santificarlo, per renderlo cristiano. E il mondo non diventa cristiano perché si costruisce una chiesa in più o si alza una croce in più o si forma un’associazione e un movimento in più, ma perché i valori cristiani stanno trasformando la società da meno umana a più umana, da meno fraterna a più fraterna, da ingiusta a più giusta.
Per questo, al n. 42 dell’esortazione “Christifideles laici”, Giovanni Paolo II ricordava ai laici: “Per animare cristianamente l’ordine temporale, nel senso detto di servire la persona e la società, i fedeli laici non possono affatto abdicare alla partecipazione alla «politica», ossia alla molteplice e varia azione economica, sociale, legislativa, amministrativa e culturale, destinata a promuovere organicamente e istituzionalmente il bene comune. Come ripetutamente hanno affermato i Padri sinodali, tutti e ciascuno hanno diritto e dovere di partecipare alla politica, sia pure con diversità e complementarietà di forme, livelli, compiti e responsabilità. Le accuse di arrivismo, di idolatria del potere, di egoismo e di corruzione che non infrequentemente vengono rivolte agli uomini del governo, del parlamento, della classe dominante, del partito politico; come pure l’opinione non poco diffusa che la politica sia un luogo di necessario pericolo morale, non giustificano minimamente né lo scetticismo né l’assenteismo dei cristiani per la cosa pubblica”.
Che fare perché queste parole abbiano una risposta? Che fare perché i cristiani escano dal loro letargo?
È una tradizione della nostra religiosità benedire un edificio, invocando, nel nostro caso, la protezione di Dio sul lavoro che sarà svolto, su coloro che lavoreranno in questo edificio, su quelli che verranno qui a cercare la giustizia. Quello che tutti desideriamo è che qui e dappertutto regnino la pace e la fraternità.
A volte si pensa che la benedizione sia qualcosa di automatico: è venuto il prete, ha benedetto, quindi è benedetto. Se prendiamo in mano la Bibbia, ci rendiamo conto che Dio benedice le persone a condizione che essi osservino i suoi comandamenti, i suoi ordini. Quindi questo edificio sarà benedetto, nella misura in cui quelli che ci lavorano cercheranno di vivere nell’amicizia, nel servizio dei fratelli, nella ricerca del bene.
Qui sarà amministrata la giustizia del lavoro. Nel mondo turbato nel quale viviamo, il vostro compito è duro e difficile perché esistono molti che reclamano perché la dignità del lavoro è violata, perché c’è disoccupazione, perché non sono valorizzati il lavoro e i diritti del lavoro, soprattutto il diritto a un salario giusto, la sicurezza della persona del lavoratore e della sua famiglia.
In passato esistevano, senza dubbio, molte ingiustizie. Oggi, purtroppo, sono state create nuove ingiustizie ancora peggiori. Oggi la tecnica e le macchine occupano un posto molto importante nel mondo, possono persino causare la distruzione del mondo e, senza arrivare a tanto, possono provocare la distruzione di tante vite, la diminuzione della vita come succede con l’inquinamento, con le malattie professionali qui nel Polo (il Polo Petrolchimico di Camaçari, immensa raffineria petrolifera, che provoca un altissimo tasso di inquinamento. N. d. t.)
Il nostro obbligo, come persone illuminate dalla Parola di Dio, è sempre quello di ricordare che il lavoro, o meglio il lavoratore è più importante del capitale. Il mondo voluto da Dio è un mondo di giustizia; l’ordine che deve guidare le relazioni tra gli uomini deve essere incardinato nella giustizia, questo ordine deve essere continuamente impiantato nel mondo a mano a mano che aumentano e si sviluppano le situazioni e i sistemi sociali, a mano a mano che sorgono nuove condizioni e possibilità economiche, nuove possibilità della tecnica e di produzione, e allo stesso tempo nuove possibilità e necessità di distribuzione dei beni.
Chiediamo a Dio che aiuti voi, giudici, avvocati, fiscali, uscieri, a mettersi a servizio dei lavoratori che ancora cercano la giustizia. Ricordiamoci che nella Bibbia fare la giustizia significa proteggere e difendere gli indifesi, liberando i poveri e i deboli, che sono la maggioranza della gente.
Nel salmo 82 (81) Dio si dirige alle autorità e in modo speciale ai giudici di quel tempo: “Fino a quando governerete ingiustamente, sostenendo i privilegi dei malvagi? Fate giustizia al debole e all’orfano, difendete il povero e lo sfruttato! Liberate il debole e l’oppresso, strappateli dalle mani dei prepotenti”.
Ricordiamoci che tutti, un giorno, saremo giudicati da Cristo. Egli giudicherà i preti, i sindaci e anche i giudici. Egli dirà ai giudici: ero oppresso e vittima di ingiustizia, cercai la giustizia del lavoro: che cosa avete fatto per me? Vi siete messi al mio lato o a lato di quelli che mi stavano perseguitando? Perché tutto quello che avete fatto o non avete fatto a uno di questi piccoli, uno di questi emarginati, “l’avete fatto o non l’avete fatto a me” (Mt 25).
Ricordiamoci che Dio prende parte nelle situazioni di conflitto. Prende la parte delle vittime. In un mondo pieno di parzialità, la parzialità di Dio costituisce la forma di realizzazione della sua giustizia. Egli prende parte in favore dei deboli, di quelli che non hanno come difendersi e che sono ignorati dall’organizzazione della società e dello Stato. “Non approfittare del povero perché è povero e non umiliare il miserabile in tribunale. Il Signore difenderà la causa del povero e farà morire quelli che l’hanno derubato” (Prov. 22, 22-23).
Preghiamo: O Dio nostro Padre benedici questo luogo dedicato all’esercizio della giustizia, benedici tutti coloro che qui lavorano perché si pongano a servizio dei fratelli, soprattutto dei più poveri, dei senza giustizia, benedici tutti coloro che vengono in questa casa alla ricerca della giustizia. Che qui regni sempre la vera fraternità e la pace.
La giustizia brilli come un faro. Che tutti sappiano riconoscere il Signore Gesù, oggi presente nei fratelli più bisognosi, domani nostro giudice. Amen.